1 – Inside Out di Pete Docter & Ronaldo Del Carmen (Usa)
Non nascondo che gli ultimi film Pixar mi abbiano deluso, tanto da essere arrivato a pensare di poter trovare paradossalmente nella Disney la migliore prosecuzione del lavoro svolto dai primi negli ultimi due decenni….e invece! Inside Out è semplicemente geniale nel concept e nella realizzazione, nella capacità di parlare a grandi e piccini, di far piangere e ridere attraverso piccoli grandi inserti che paiono banali e invece arrivano a essere epici e struggenti (vedi immagine!). La capacità di mettere in scena concetti complessi in maniera semplice e colorata è uno dei maggiori punti di forza di uno dei più bei racconti di formazione degli ultimi anni che riesce a dire qualcosa di non banale sull’importanza di accettare e abbracciare tutte le emozioni che proviamo, sul non cercare a tutti i costi una gioia artefatta, sul capire il valore della tristezza e della rabbia per raggiungere un migliore equilibrio della persona. Capolavoro. Bentornata Pixar!
2 – Birdman (o l’imprevedibile virtù dell’ignoranza) di Alejandro G. Inarritu (Usa/Canada)
Capisco tutte le critiche che si fanno puntualmente a Inarritu all’uscita di ogni suo nuovo film, eppure rimango puntualmente affascinato e rapito, pur nella grande diversità della sua produzione. Birdman ha una serie di caratteristiche uniche che me lo hanno fatto amare. Innanzitutto è un film sul teatro tanto cinematografico quanto teatrale, per l’immediatezza che trasmettono i piani sequenza da cui è formato. Ha il pregio di riportare alla ribalta un attore scomparso da oltre un decennio, Michael Keaton, nel ruolo della vita e in quella che potrebbe essere una storia molto simile alla sua, aggiungendo un ulteriore strato di lettura al film. E’ una critica intelligente e spettacolare ai film di supereroi e all’industria hollywoodiana (nella quale Inarritu prospera!). E’ la parabola sicuramente non originale, ma messa in scena in maniera inventiva, con riusciti tocchi surreali, una grande colonna sonora e uno strepitoso cast, di redenzione, caduta e (forse) nuova ascesa di un uomo e della sua maschera.
3 – Mad Max: Fury Road di George Miller (Australia/Usa)
La saga di Interceptor torna dopo 20 anni sul grande schermo e si impone a mani basse come l’action dell’anno. Miller, regista ultrasettantenne, fornisce a tutti i giovani colleghi una dimostrazione di cosa voglia dire realizzare un film mozzafiato, vecchio stile nell’animo, ma coniugato in maniera intelligente con le moderne tecnologie per un inseguimento lungo due ore fatto di stunt spettacolari, esplosioni ed effetti speciali. Adrenalina e tensione sono sempre ai massimi livelli e la trama viene efficacemente ridotta alle linee narrative più basilari (anche se il sottotesto femminista in questo contesto), per non distogliere nemmeno per un momento l’attenzione dello spettatore dall’azione.
4 – Taxi Teheran di Jafar Panahi (Iran) – Panahi continua a raccontare il suo Paese da prigioniero e, gioco forza, si ritrova da entrambi i lati della macchina da presa come in This is not a Film. Ne esce fuori un’opera costantemente in bilico tra realtà e finzione, che ragiona sui limiti, ma anche sulle potenzialità, del cinema, capace al tempo stesso di raccontare attraverso le maschere-personaggio che salgono sul suo scalcinato taxi, una realtà iraniana vivace e sfaccettata.
5 – Il racconto dei racconti di Matteo Garrone (Italia/Fra/GB). Il fantasy nelle mani di Garrone produce un ufo particolarissimo, un film unico nel panorama italiano e con pochi eguali nel mondo. Grazie ad una ricerca estetica maniacale e delle location (tutte italiane) di grande suggestione, è uno dei film più visivamente appaganti degli ultimi anni. Ma Il racconto dei racconti non è solo forma, perché il suo triplice racconto-fiaba sul desiderio come ossessione o dannazione rimane attualissimo.
6 – Francofonia di Aleksandr Sokurov (Fra/Ger/Ola). Chiamato a girare un film sul Louvre, Sokurov scontenta tutti, non si lascia ingabbiare e firma un film ai limiti dello sperimentale che è al tempo stesso riflessione sull’Arte, sulla Storia e sul Cinema. Il suo pensiero di una cultura continentale da difendere dagli attacchi esterni può essere criticabile, ma Francofonia ha la complessità di un film-saggio che solo un grandissimo regista potrebbe maneggiare con la stessa sicurezza.
7 – Vizio di forma di Paul Thomas Anderson (Usa). Un noir alla luce del sole, nel quale il detective-sfattone Doc Sportello (altra prova maiuscola di Joaquin Phoenix) girovaga per una Los Angeles bruciata dalla calura per un’indagine che gira a vuoto su se stessa per diventare sempre più intricata e paranoica. Gli anni ’70 del sogno rivoluzionario, che contenevano già il germe stesso del fallimento, messi in scena da PTA come un incubo allucinogeno nel quale lo spettatore vive lo stesso spaesamento del suo protagonista, sballottato tra droghe, omicidi e amori passati. Ideale seguito ragionato e raffinato di Paura e delirio a Las Vegas, ridona un senso a quell’immaginario hippie ormai divenuto mera superficie, scoprendone le inquietudini e le contraddizioni. Un’esperienza.
8 – Sicario di Denis Villeneuve (Usa) – E’ ormai chiaro che Villeneuve sappia adattarsi a qualsiasi genere si confronti, lasciando al contempo il suo marchio personale. In questo action-thriller paragonabile per rigore e stile ai mostri sacri del genere come Michael Mann, veniamo introdotti al conflitto tra FBI e narcotrafficanti sul confine messicano attraverso gli occhi dell’inesperta Emily Blunt. La distinzione tra bene e male è più sfumata che mai e l’idealismo della protagonista accentua ulteriormente i dilemmi morali, mentre la violenza e i tradimenti sono messi in scena in maniera tanto realistica quanto brutale.
9 – The Lobster di Yorgos Lanthimos (Irlanda/GB/Ger/Fra/Ola) – Per il suo primo film internazionale Lanthimos smussa gli estremi delle sue opere precedenti, ma non perde il gusto per il paradosso, il grottesco, la provocazione. Il racconto è ancora quello di una realtà alternativa, questa volta non un semplice microcosmo, ma un vero e proprio futuro distopico nel quale o ti sposi o vieni trasformato in un animale. L’umorismo nero è graffiante e il sottotesto sui vincoli imposti dalla società coglie nel segno. Farrell, in una delle sue prove migliori, riesce a trasmettere una malinconia penetrante.
10 – Non essere cattivo di Claudio Caligari (Italia) – L’ultima opera di Caligari è il racconto di sopravvivenza di due giovani nella periferia romana degli anni novanta. Un ritratto straordinariamente umano e commovente, capace di fissare sullo schermo una realtà difficile come quella dei tossicodipendenti senza alcun giudizio morale, ma anzi abbracciandone la problematicità. I diversi destini a cui vanno incontro i due ottimi protagonisti rendono il dramma ancora più appassionante e, soprattutto, permettono di far emergere una delle più belle elaborazioni sul tema dell’amicizia degli ultimi anni.
11 – Fuochi d’artificio in pieno giorno di Diao Yinan (Cina)
12 – Sopravvissuto – The Martian di Ridley Scott (Usa)
13 – Ex Machina di Alex Garland (Gran Bretagna)
14 – Mia madre di Nanni Moretti (Italia/Francia)
15 – Dio esiste e vive a Bruxelles di Jaco Van Dormael (Belgio)
16 – Suburra di Stefano Sollima (Italia)
17 – Whiplash di Damien Chazelle (Usa)
18 – Babadook di Jennifer Kent (Australia/Canada)
19 – Foxcatcher – Una storia americana di Bennett Miller (Usa)
20 – The Visit di M.Night Shyamalan (Usa)
—–
TOP 10 ORIENTE
1) Behemoth (Be xi mo shou) di Zhao Liang (Cina)
2) Au revoir l’été (Hotori no sakuko) di Fukada Koji (Giappone)
3) Aberdeen (Heung gong jai) di Pang Ho-Cheung (Hong Kong)
4) A Hard Day (Kkeut kka ji gan da) di Kim Seong-hoon (Corea del Sud)
5) Tokyo Tribe (id.) di Sono Shion (Giappone)
6) Miss Hokusai (Sarusuberi) di Hara Keiichi (Giappone)
7) As the Gods Will (Kamisama no iu toori) di Miike Takashi (Giappone)
8) Kung Fu Jungle (Yi ge ren de wu lin) di Teddy Chan (Hong Kong)
9) Over Your Dead Body (Kuime) di Miike Takashi (Giappone)
10) Still the Water (Futatsume no mado) di Kawase Naomi (Giappone)